Tesi sulla coscientizzazione

 

 

TESI SU LA COSCIENTIZZAZIONE

CHE ACCOMPAGNA IL TDO (Teatro dell'Oppresso)

Versione 2

del 30-8-07

(sintesi di Roberto Mazzini della ricerca svolta nei primi due incontri)

Il primo incontro di lavoro su Freire a Vedriano (19-20 Maggio 2007) voleva dare uno stimolo a riflettere su come usiamo Freire nel nostro lavoro di TdO.

Da lì sono uscite delle tesi che sono state dibattute a Camaldoli (6-8 Luglio 2007) per condividerle o meno; era un modo per raccogliere quel che era emerso, in modo sintetico e leggibile, centrando alcune questioni a mio parere essenziali e lasciando a dopo i dettagli.

Le domande chiave a cui rispondere per confrontarci e approfondire il nostro lavoro mi paiono le due proposte della convocazione del primo seminario:

1) Perché parliamo di coscientizzazione noi di Giolli?

2) Cos'è per noi coscientizzazione, come la reinventiamo?

3) Come la attuiamo nei nostri interventi? (Forum, laboratorio e progetto)

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1) PERCHÉ FARE COSCIENTIZZAZIONE?

1) Il fine del TdO non è far esprimere un gruppo e i singoli o farli star bene nel laboratorio; questi sono mezzi e tappe per arrivare a una maggior liberazione dall'oppressione (liberazione di tutti, anche degli oppressori dai loro ruoli), quindi servono come condizioni per avviare questa ricerca di liberazione, ovviamente senza imposizioni, ma sempre dialogando.

Tale ricerca è chiamata coscientizzazione, con un forte richiamo a Paulo Freire.

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2) Il fine ultimo della coscientizzazione è la creazione di un movimento organizzato di oppressi che lottano per la loro e altrui liberazione (vedi l'emblematico esempio di Jana Sanskriti in West Bengala, dove sono arrivati dopo 20 anni di lavoro a un movimento di migliaia di contadini che reclamano i loro diritti, migliaia di attori di Forum che lavorano contro l'oppressione delle donne... ma è servito tempo e cura).

Importanza anche dell'apprendere dalle esperienze migliori e imparare dai propri errori.

· Osservazioni critiche: qui il gruppo si è molto diviso, ad alcuni non piace l'idea dell'unico movimento, sa di indottrinamento e omogeneizzazione, di verticismo... quindi privilegiano tanti movimenti o una Rete di nodi, più che un movimento organizzato. Altri dicono che ognuno deve fare le proprie scelte personalmente. O temono che il movimento schiacci l'oppressore.

· Commenti in risposta: ci possono essere più movimenti su più questioni, ma rispetto al modello di sviluppo, alle tematiche energetiche e ambientali, io credo utile un unico movimento, articolato democraticamente, in modo non gerarchico, con deleghe rinnovabili (vedi le esperienze della Rete per la Nonviolenza, per esempio). Senza una forza, un potere dato dall'essere tanti, come ci opponiamo alle scelte di vertici economico politico finanziari a livello mondiale? Come creiamo già da ora spazi temporaneamente liberati (cfr. M.Bookchin), come concretizziamo slogan "un altro mondo è possibile?". Se per evitare indottrinamento o altro ci rifugiamo nella crescita della sola coscienza individuale, credo che non avremo mai un peso sufficiente a livello generale; i due aspetti, responsabilità individuale e coscienza collettiva, devono certamente intrecciarsi.

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2) COS'É COSCIENTIZZAZIONE?

Dalle risposte emerse a Vedriano mi pare che sia un albero comune e due tralci.

L'albero comune è un atteggiamento che valorizza i gruppi con cui lavoriamo, le loro conoscenze e competenze, un atteggiamento non giudicante, orizzontale, di ascolto, di osservazione, di amore.

ASCOLTANTE DIALOGANTE

COSCIENTIZZO

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Da qui secondo me si differenziano due vie:

1) Una che chiamerei "a basso tasso conflittuale" o "empatica/ascoltante/facilitante/passiva/neutrale/spugna" sviluppa il concetto di ascolto e vede il conduttore fondamentalmente come un ascoltatore e facilitatore di processi, che non entra nel merito dei contenuti, che non esprime un proprio parere, che rimane neutrale rispetto alle oppressioni che emergono. Molte domande emerse riguardano proprio questo atteggiamento e come attuarlo.

2) Un'altra, che chiamerei "dialogica/interventista/attiva/provocatoria", sviluppa invece il dialogo e quindi anche il conflitto e vede il conduttore, pur nell'ambito della posizione generale di valorizzazione, con dei momenti e delle azioni problematizzanti, quindi capace anche di portare in luce i conflitti e le contraddizioni del gruppo, che usa anche la provocazione pur senza ritenersi superiore, che si compromette anche sui contenuti, che esprime un punto di vista proprio, se necessario a procedere.

Mi pare che nella storia di Giolli il primo aspetto, quello "ascoltante", ha prevalso nettamente, tanto che in alcuni corsi di formazione lunghi, l'espressione da noi spesso usata di "sospendere il giudizio" ha significato per alcuni "non esprimere i disagi che un partecipante viveva contro un altro partecipante! Perché se no giudicava".

Sempre più mi convinco che appaia più utile la seconda variante di coscientizzazione. Freire stesso è stato frainteso come un lassista, o confuso con la non-direttività rogersiana o libertaria.

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1° TESI)

La prima tesi è che un lavoro di coscientizzazione è tale se prevede un aumento della coscienza individuale e di gruppo rispetto a uno specifico tema o problema o contesto. Non è quindi semplicemente lavorare con i gruppi ascoltandoli, valorizzandoli, facendoli stare bene, come suggerisce la coscientizzazione "ascoltante".

· Osservazioni critiche: alcuni a Camaldoli hanno sottolineato che dipende dai contesti o che aspettando si hanno sorprese dai gruppi (senza quindi forzare l'intervento).

· Commento: credo che devi aver chiaro il senso della coscientizzazione, poi quando e come e cosa problematizzare dipende dalla lettura che fai del gruppo e del contesto. Se non intervieni puoi avere delle sorprese, ma a volte non cogli occasioni di cambiamento, quindi secondo me sta alla sensibilità del conduttore capire i momenti e i modi.

Resta a mio avviso valida la prima tesi così come espressa, cioè cosa intendersi come "coscientizzazione", pur con la capacità di agire connessi al contesto e non a prescindere.

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2° TESI)

Di conseguenza, una coscientizzazione che voglia far avanzare i livelli di coscienza di un gruppo, deve avere un atteggiamento dialogico, dove anche il conduttore può portare sue posizioni, soprattutto per problematizzare ciò che il gruppo pensa, porgli dubbi, spingerlo ad approfondire, evidenziare contraddizioni e conflitti latenti.

· Osservazioni critiche: ci sono state molte reazioni, con alcuni preoccupati di innescare dinamiche di potere col gruppo ponendoti in posizione superiore. Altri non vogliono influenzare il gruppo con le proprie idee o innescare aspetti seduttivi e compiacenti nelle persone. C'è chi rivendica l'essere enzima e il non portare propri contenuti.

· Commento: come detto da qualcuno, non credo nella neutralità, nel non influenzare il gruppo. Farei però una differenza tra interventi problematizzanti e dire le proprie idee su un tema. Concordo infatti che le proprie idee vanno dette solo in casi speciali e come opinione e non come verità. I casi speciali per me sono un po' come "Stop c'est magique!" ovvero situazioni in cui il conduttore vede andare il gruppo in un vicolo cieco e si assume la responsabilità di dire la propria opinione. Oppure quando una scelta del gruppo contrasta fortemente con la propria etica di conduttore. Il fine per cui dire o non dire deve sempre essere quello di aiutare un processo di coscientizzazione del gruppo e non narcisismo, imposizione di verità, ecc.

Le attenzioni sul potere, seduzione, compiacenza sono sicuramente dei rischi a cui fare attenzione, ma da correre se si vuol fare coscientizzazione e non lavarsi la coscienza propria osservando il gruppo deragliare.

· Ulteriori critiche nate nei sottogruppi quando ci si è polarizzati su conduttore neutro o no. Sono emerse domande come:

  • come può il conduttore capire le dinamiche di potere dentro un gruppo e aiutare a scardinarle per liberare gli elementi deboli dall'oppressione dei forti?

  • Il gruppo riesce a camminare da solo senza un conduttore Dialogico?

  • Perché non contestualizzare il tipo di conduzione? Perché un gruppo non può essere autonomo?

  • Dove si pone il conduttore nel conflitto che suscita dentro/con il gruppo?

  • In che modo un gruppo può auto-coscientizzarsi?

  • Ci vuole coerenza tra tuo stile di vita e tua conduzione.

  • E' compatibile il conduttore spugna col dialogante?

  • come chiamiamo il conduttore TdO? Facilitatore, regista? Che competenze deve avere e come concilia la doppia faccia teatrale e pedagogica?

· Commenti in risposta: si torna alla questione del potere e di come lo uso; come conduttore ho un potere maggiore dei partecipanti, se riconosciuto. Lo posso usare per rendere i gruppi sempre più liberi e autonomi oppure no. Qui però si confonde la dinamica di evoluzione dei gruppi con la coscientizzazione; per fare coscientizzazione devo aiutare i gruppi a evolvere dinamicamente (cfr E. Spaltro e altri) ma non basta per coscientizzare.

Deve anche accrescere il tipo di coscienza dei singoli e del gruppo. Detto questo, esistono gruppi autogestiti, senza conduttore esterno, ma spesso ci sono leader interni più o meno carismatici e fissi; un buon gruppo, dice la psicologia, è quello dove i ruoli sono funzionali, ovvero ognuno diventa leader nel momento in cui le sue capacità sono chiamate in azione. Ma ripeto, questo lavoro sulla dinamica del gruppo è solo una parte del lavoro di coscientizzazione. Un bel gruppo che abbia ruoli intercambiabili, è di per sé coscientizzato? Liberato dalle oppressioni esterne?

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3° TESI)

Per fare coscientizzazione non basta avere un atteggiamento solo ascoltante, a spugna, che non si espone, non critica, non pone dubbi, non parla di sé ma è utile/necessario un conduttore dialogico che faccia ANCHE da specchio al gruppo e ai suoi limiti.

A mio avviso il facilitatore non è un coscientizzatore, anche se il secondo può fare facilitazione a volte, magari all'inizio come suggerito o con certi gruppi già molto critici. Non è regista, se non in certi momenti specifici che ritiene necessari. Il fine ultimo, la guida, è la coscientizzazione.

Credo che per fare questo ruolo dialogico servano capacità specifiche che forse abbiamo poco sviluppato e anche una certa tranquillità ad attivare momenti di distonia col gruppo e saperli gestire.

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4° TESI)

Ma questo atteggiamento dialogico vuol dire fare prima dei progetti alcune cose chiave che facciamo poco e in fretta. Anzitutto, a monte del Forum o di qualsiasi attività col TdO mi chiederei 4 cose:

a) Lavoro con qualsiasi Committente?

b) Lavoro per qualsiasi Obiettivo?

c) Lavoro con qualsiasi Gruppo target?

d) Qualsiasi disagio o problema di qualunque persona è un'Oppressione?

Solo dopo aver risposto a queste domande posso fare una scelta di cosa negoziare e cosa no e di che intervento è possibile fare.

Per esempio possiamo decidere di non lavorare per un Committente, ritenendo che lo scopo per cui mi chiama sia talmente repressivo o manipolatorio che non abbiamo spazi di negoziazione sufficienti. O se riteniamo che il suo ruolo sociale o politico sia fortemente oppressivo.

Lavoreremmo con un movimento nazista (esempio estremo)? Ma quante volte ci chiediamo se ha senso lavorare col tal Committente o indaghiamo per capire con chi abbiamo a che fare o i condizionamenti istituzionali che subisce?

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Accettato il Committente, siamo disponibili per qualsiasi obiettivo?

Se ci chiedono di lavorare perché i matti accettino meglio di essere chiusi in Istituto, concorderemmo su questo obiettivo? Anche qui è un estremo, ma quante volte valutiamo e negoziamo obiettivi al di là della mera realizzabilità, ma con criteri etico-politici?

E se parliamo di coscientizzazione, l'obiettivo generale non dovrebbero sempre essere l'aumento del livello di coscienza del problema specifico, da parte degli oppressi?

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Accettato il Committente e negoziati gli obiettivi con lui, lavoriamo per qualsiasi gruppo? Ovvero, lavoreremmo con gli agenti di polizia penitenziaria in un carcere o con gli ispettori, o solo coi detenuti, o ...? Questo punto è legato anche al precedente. Se lavoriamo per la liberazione, facciamo un'analisi dei ruoli che giocano le varie parti nell'Istituzione dove entriamo?

Identifichiamo oppressi, oppressori e meccanismi oppressivi?

Analizziamo i livelli di potere di ogni ruolo? Ci facciamo un'idea approssimativa di dove stiamo entrando? Studiamo le analisi critiche nel settore di intervento (la pedagogia critica per la scuola, Basaglia per la psichiatria, ecc.).

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Infine arriviamo a lavorare con un gruppo, pagati da un certo committente, per degli obiettivi specifici.

Qualsiasi problema emerge dal singolo e dal gruppo, lo consideriamo un'oppressione, in ossequio alla prima impostazione "ascoltante" del conduttore freiriano? (un poliziotto si lamentava che i detenuti non lo rispettavano e quindi se era il caso li menava). Oppure dialoghiamo, problematizziamo?

Se uno dice che i non fumatori lo opprimono perché lui vuol fumare e quindi...?

Se uno dice che è oppresso da chi gli chiede l'elemosina perché lo infastidisce?

Se uno dice che è oppresso dagli immigrati che gli tolgono il lavoro?

(tutti casi realmente successi).

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Solo il coscientizzatore dialogico può permettersi di portare obiezioni, sollevare questioni, andare più a fondo problematizzando.

· Osservazioni critiche: c'era molto accordo; è stato aggiunto che ci sono altre domande utili (come voglio lavorare e perché?). Alcuni rilevano che a volte non c'è risposta o che a volte devi lavorare e porti poche domande. Qualcuno anche difende tutti i malesseri come oppressioni, se sentite da una persona.

· Commento in risposta: ok sulle domande aggiuntive. Se non c'è risposta io credo devi chiederti se accettare o meno il lavoro e non darlo per scontato. Sul malessere psicologico invece sono contrario a confondere la sensazione individuale con l'individuazione di un'oppressione. Per me l'ultima è una ricerca collettiva, che può passare anche per una messa in discussione di quello che il gruppo o un singolo afferma come oppressione. Posso dire la mia esplicitamente o scegliere di lavorarci sopra per condurre il gruppo a riflettere più approfonditamente, ma non sono d'accordo a legittimare come oppressione qualsiasi fastidio di qualsiasi persona.

Boal afferma però che noi non dobbiamo giudicare le oppressioni, ma lasciare che gli oppressi le identifichino; a mio avviso è un principio di cautela metodologica importante, ma ciò significa che qualcuno ha individuato un gruppo come oppresso e lo lascia libero di cercare il suo senso, quindi ho già fatto una scelta come conduttore TdO.

Paradossalmente, se lavoro coi poliziotti del G8 di Genova, direbbero che sono stati oppressi dai manifestanti, se lavoro coi manager della Del Monte, diranno che sono oppressi dai sindacalisti nelle piantagioni di banane, se lavoro col Ministero dell'Istruzione, mi dirà che sono oppressi dagli insegnanti... perché non eseguono il proprio volere. Infastidiscono resistendo. Ma noi accetteremmo di lavorare in questi termini solo perchè alcuni ci portano un malessere, un fastidio, un conflitto? O prenderemmo una posizione per chi ha meno potere sulla propria vita?

Il difficile credo sia quello di non esagerare da un'altra parte giudicando sempre noi cosa è oppressione; una volta scelto il gruppo oppresso, lo si lasci libero di indagare, ma altrettanto liberi noi di porre dubbi e domande, di sfidare in modo rispettoso e attento ad andare oltre lo scontato.

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5° TESI

Sostengo pertanto che il modo migliore di fare coscientizzazione sia quello di creare progetti lunghi, con le risorse reali disponibili.

Mi pare che ci sia una certa confusione tra "fare un buon intervento TdO" e "coscientizzare".

Purtroppo non è così semplice, perché cosa vuol dire fare un buon intervento?

Che tutti sono contenti?

Anche così potremmo non aver coscientizzato.

Dobbiamo precisare cos'è un buon intervento, cosa deve succedere a livello di coscienza e come lo verifico (anche empiricamente, con metodi qualitativi come interviste di autopercezione, incroci inter soggettivi di vissuti, ecc.).

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3) COME SI ATTUA NEI TRE TIPI DI INTERVENTO?

Sulla base della precedente teoria, ne discendono delle conseguenze pratiche a mio avviso di questo tipo:

6° TESI)

Né un Forum né un laboratorio da soli sono sufficienti per un processo di coscientizzazione.

Il Forum e il laboratorio, come altre tecniche o attività, vanno inserite in un prima e in un dopo per potenziarle, insomma in un progetto; ma non uno qualsiasi, un progetto di coscientizzazione su un tema specifico o per un gruppo specifico di oppressi.

Probabilmente molte delle difficoltà indicate nei fogli che sono stati scritti, dipendono da interventi limitati ed episodici, per questo serve un progetto e non un evento, e un lavoro in tempi lunghi.

a) Nel Forum.

Non diamo per scontato che il Forum sia di per sé coscientizzante; può restringere il problema al faccia a faccia (come se il nemico fosse sempre davanti a te), può essere catartico, fuorviante... Perché coscientizzi anche nel suo piccolo, deve lavorare sui livelli di coscienza del pubblico.

Boal parlava dell'Ascesa, ovvero il Forum dovrebbe passare dalla visione del "fenomeno" alla scoperta delle "leggi" che lo governano (io direi oggi, degli elementi e delle cause che lo costruiscono).

Che sia possibile cambiare la consapevolezza del pubblico è dimostrato da una tesi americana sulle molestie sessuali nei campus universitari, così come da tre ricerche sulla prevenzione col Teatro-Forum tra i giovani.

7° TESI)

Quindi un Forum è coscientizzante se porta a un'Ascesa il pubblico.

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b) Nei laboratori.

Coscientizzare nei laboratori vuol dire non solo far emergere i vissuti, ma soprattutto avviare una ricerca sull'oppressione/liberazione che quel gruppo sente prioritaria, calandosi nella realtà, studiandola col TdO, approfondendo i meccanismi, individuando le oppressioni, ecc. ecc.

Altrimenti resta una consapevolezza da laboratorio espressivo (come fa tanto teatro sociale o educativo, la drama-therapy, il role-playing...), consapevolezza di sé, del proprio mondo interiore, ma slegata dal contesto socio-politico.

Credo che l'indagine del laboratorio, se vuol coscientizzare in senso freiriano e boaliano, debba "tendere" a essere globale (mente corpo emozione; livello individuale, duale, gruppale, istituzionale, sociale e politico; oppressioni interiorizzate e prodotte da agenti esterni...).

Enfatizzare un solo elemento a scapito di altri, se non emerge dalla ricerca del gruppo, a mio avviso limita i processi di liberazione.

8° TESI)

Quindi un laboratorio è coscientizzante se porta a una crescita di coscienza di quel gruppo su quel tema che ha individuato; ma una coscienza plurima, globale (mente corpo emozione; individuo, coppia, gruppo, ecc.).

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La motivazione iniziale dei gruppi è raro che sia quella di coscientizzarsi, ma piuttosto di risolvere uno specifico problema. Sta a noi approfittare in senso buono di questa spinta a reagire per avviare un processo.

Credo che esempi come Freire che lavorava con gente che non era motivata alla coscientizzazione, ma a leggere e scrivere o dell'India, dove si è arrivati a creare un movimento, indichino le strade da percorrere, siano esempi di come si parta dai livelli di coscienza che si trovano, per andare avanti. Per questo serve una coscientizzazione hard, dialogica e non solo ascoltante.

La coscienza minima necessaria non c'è, se si trova l'aggancio giusto alla motivazione e si inizia un percorso adatto.

C) Nel progetto.

Nel progetto il processo è più complesso e prevede anche l'incrocio tra i bisogni di gruppi diversi che entrano in dialogo.

Dove nel Forum o laboratorio spesso i gruppi sono omogenei, in un progetto su un territorio, i vari enti pubblici e privati e i vari gruppi sociali possono interagire in modo complesso. Qui la coscientizzazione ha molto da attingere dall'impostazione detta Sviluppo di Comunità, sopratutto nella sua variante più radicale (Piergiulio Branca, David Chavis).

Mi ispirerei anche alle fasi di Freire:

1) Ricerca. Freire parlava di ricerca delle parole e temi generatori, che sono rispettivamente il lessico e quelle questioni che permettono un avanzamento di umanità, quelle sfide all'essere umano tipiche del tempo. Sono i bisogni, ma in senso generale, non confusi coi desideri personali o con una lettura psicologica dei bisogni del gruppo.

Serve una fase di studio del contesto, in senso freiriano, e anche di Sviluppo di Comunità.

2) Poi una progettazione che permette di aumentare l'efficacia dei singoli strumenti (Forum, laboratorio, altre tecniche) perché le inserisce in una progettualità, un percorso, che contamina il contesto anche.

3) Attuazione dell'intervento con monitoraggio costante e attenzione a valorizzare tutte le risorse del territorio, pubbliche e private.

4) Valutazione la più ampia e ricca possibile e riprogettazione.

Esempio del progetto "Dispersione scolastica" svolto a Pisa nel 2006-7.

L'idea base era far esprimere il punto di vista di tutte le componenti scolastiche e non (insegnanti, bidelli, genitori, Istituzioni) perché si aprisse un dialogo sul problema, arrivando quindi tutti a una maggior coscienza del problema "dispersione".

Un approccio riduttivo sarebbe stato: esiste la dispersione come dice la scuola, le cause per gli insegnanti sono le famiglie, il TdO interviene per motivare i ragazzi a studiare di più e per coinvolgere le famiglie perché sostengano i ragazzi.

Si perderebbe così la coscientizzazione, si perderebbe la ricerca sulle cause della dispersone e innanzitutto se è o no un'oppressione, se è percepita tale da tutti o no, e perché; se la scuola deve o meno ripensarsi in funzione di motivare di più, oppure se va abbandonata come ente repressivo (Ivan Illich) o riformata in senso antiautoritario (Summerhill, scuole attive...) ecc. ecc.

Oppure capita che la scuola chiami il TdO perché una classe è ingestibile, il TdO entra in classe e propone un lavoro di giochesercizi per migliorare il clima di gruppo, poi se ne va (riduzione a laboratorio, perdita dell'analisi del problema e schiacciamento sugli obiettivi del Committente, ecc.).

Come sarebbe stato un lavoro di coscientizzazione qui? A voi inventarlo.

9° TESI)

Quindi un progetto è coscientizzante se aumenta la coscienza complessiva dei gruppi sociali su un problema, e se avvia un percorso di organizzazione della comunità, soprattutto delle sue parti oppresse e più deboli, anche aprendo conflitti tra parti sociali per riequilibrare i poteri e avanzare verso la liberazione.