Le tecniche del TdO

I giochi-esercizi

Augusto Boal ha raccolto un ampio repertorio di giochi-esercizi, attingendo alle tradizioni dei giochi infantili o sviluppando la pratica scenica. I gruppi che praticano il Teatro dell’Oppresso li arricchiscono continuamente con nuove varianti, contributi e scambi.
Boal li battezza proprio così, con un’unica parola composta: e sottolinea in questo modo quante possibilità offrano di conoscere se stessi e il proprio corpo, di ampliare e cambiare le modalità di espressione e di creare un dialogo multiforme con gli altri. 
Si tratta di attività che possono essere proposte come esperienza a sé stante, come training teatrale, come strumento per la formazione di un gruppo, come riscaldamento, intermezzo, rituale di inizio e conclusione e così via. 
Si fondano sul principio che il movimento corporeo è anche pensiero, e che i cinque sensi – tra loro profondamente connessi – offrono all’umano un’esperienza che dev’essere risvegliata e riportata alla consapevolezza. 

Poiché poi una forma di oppressione deriva dalla maschera sociale, e i giochi-esercizi lavorano per ampliarla, questi strumenti in apparenza semplici permettono di agire già sull’oppressione, non solo di prepararsi alle tecniche più complesse.
Io dico e ripeto che gli esercizi del teatro dell’oppresso sono già teatro dell’oppresso, sono parte integrante di una totalità; non dei semplici esercizi preparatori o di mise en forme che preparano qualcosa che verrà dopo, ma l’inizio di un processo sviluppato in tappe successive e continue
A. Boal, Il Poliziotto e la Maschera


Cfr. A. Boal, Il poliziotto e la maschera; 1993, Molfetta, La Meridiana – Cap. 2, Un nuovo sistema di esercizi e di giochi

Il Teatro Immagine

Con la tecnica del Teatro Immagine si rappresenta la realtà con immagini corporee fisse: statue – come le chiama Boal – o “crete” – per parafrasare uno dei suoi esercizi.
Si scolpisce un tema con il proprio corpo o con il corpo di altri, non sempre in modo realistico: spesso si utilizza anzi un linguaggio intensamente simbolico, metaforico, che evoca gli aspetti essenziali di ciò che si vuole mostrare. 
La tecnica può essere utilizzata per “fotografare” aspetti del reale su cui si intende concentrare lo sguardo, per mostrarne le sfaccettature, le molteplicità, la complessità. 
Le immagini poi possono animarsi con gesti e suoni e così definire meglio la situazione o suggerirne una evoluzione possibile. Boal chiama questo processo “dinamizzazione”.
Dalla lettura delle immagini scaturiscono spesso interpretazioni differenti, il che sprigiona ampie potenzialità nell’esplorazione di un tema: i differenti significati non sono arbitrari, infatti, ma collegati a strutture più profonde della realtà.
E’ per questo che nelle tecniche del Flic-dans-la-tete si fa abbondante uso del Teatro Immagine proprio come “ponte” tra le percezioni individuali di un tema, per individuare i meccanismi oppressivi generali sottostanti.

Cfr. A. Boal, Il poliziotto e la maschera; 1993, Molfetta, La Meridiana – Cap. 3, Sistematizzazione del teatro immagine.
e A. Boal, L’arcobaleno del desiderio; 1994, Molfetta, La Meridiana – Parte II: le tecniche prospettive; Le tecniche introspettive

Il Teatro-Forum

La tecnica è nata nel 1973 in Perù, casualmente:  una spettatrice insoddisfatta, che non riusciva a veder realizzati dagli attori i propri suggerimenti, è salita sul palco a mostrare di persona come avrebbe voluto si svolgesse l’azione.
In America Latina, inizialmente, Boal ha utilizzato il Teatro Forum come “prova-di-realtà”, per preparare un’azione reale che i partecipanti avrebbero dovuto realizzare a breve: per esempio uno sciopero o un’assemblea.
In Europa, più tardi, il Teatro-Forum è diventato un vero e proprio spettacolo, spesso con un pubblico più ampio ed eterogeneo e lo sviluppo di un nuovo linguaggio, anche simbolico. 
Il modo più efficace e politicamente corretto di usare lo strumento è lavorare insieme ad una comunità oppressa per co-costruire la rappresentazione in cui – idealmente – i membri della comunità stessa sono gli attori e attrici, protagonisti del percorso e dello spettacolo, ma anche della ricerca di soluzioni.
Gli “attori” – chiunque essi siano – scelgono quindi di lavorare intorno ad un’“oppressione”, ad un conflitto, ad uno squilibrio di potere, ad un problema irrisolto e condiviso: lo rappresentano per il pubblico una prima volta, e poi una seconda. Il confine tra il palco e la platea non è definito: agli spettatori si propone di diventare spett-attori, e la vicenda rappresentata si evolve con il loro intervento in scena, in sostituzione o in aggiunta ai personaggi, durante la seconda rappresentazione e le successive.
Tutto questo avviene con il contributo del Jolly, che incoraggia la discussione privilegiando la forma teatrale, orchestra i tempi e i movimenti tra lo spazio scenico e il pubblico, interpella i presenti rispetto all’efficacia e al grado di realtà delle diverse proposte senza mai valutarle, ed invita a raccogliere provocazioni e ipotesi di azione da riportare nella vita reale. 

Cfr. A. Boal, Il poliziotto e la maschera; 1993, Molfetta, La Meridiana – Cap. 1, Il Teatro dell’Oppresso in Europa.

Il Teatro Giornale

Le parole sono un mezzo di trasporto, come gli autobus e i camion. Così come gli autobus trasportano persone, e i camion merci, le parole trasportano le nostre idee, i desideri, le emozioni. Con la stessa parola si può dire – nella frase scritta con la sintassi, e in quella parlata con il linguaggio della voce (timbro, tono, volume, pause etc.) – esattamente il contrario di ciò che afferma e giura il dizionario.
[] Le parole sono talmente potenti che, quando le udiamo o le pronunciamo, spegniamo i nostri sensi attraverso cui, senza di esse, capiremmo più chiaramente i segnali del mondo. La comprensione di esse è lenta perché hanno necessità di essere decodificate, al contrario delle sensazioni, che sono di comprensione immediata.
A. Boal, in L’estetica dell’Oppresso

La tecnica del Teatro Giornale si fonda sulla consapevolezza che i mezzi di comunicazione dicono molto più di quanto troviamo nel mero contenuto dei messaggi: molte sono le informazioni implicite che ci raggiungono, il più delle volte senza che ne siamo consapevoli. 
Con questa pratica si smascherano i messaggi meno evidenti e le manipolazioni.
Si possono quindi estrarre notizie o dati da un contesto per metterli in rilievo, o al contrario colmare le omissioni, ampliando lo sguardo ai precedenti storici, alle cause o agli aspetti taciuti di un evento; si possono mostrare le contraddizioni, versioni diverse della stessa notizia; si può leggere alterando il ritmo o alternare brani di un articolo con slogan pubblicitari, svelando gli aspetti grotteschi di un’informazione, e così via. 

Boal ha descritto 11 tecniche per problematizzare le notizie dominanti e aumentare la coscienza critica, ma oggi in buona parte del mondo ci si informa più tramite internet e i social che attraverso i mezzi tradizionali: è urgente quindi aggiornarle e adattarle ai nuovi media dominanti.


Cfr. A. Boal, Il teatro degli oppressi, Feltrinelli, 1977, La Meridiana, 2011

Il Teatro Invisibile 

Il Teatro Invisibile porta a spettatori inconsapevoli azioni teatrali preparate con cura: in un luogo pubblico prescelto si verificano eventi insoliti che attirano l’attenzione dei presenti e suscitano commenti, discussioni, prese di posizione. 
Gli attori non si riveleranno mai come tali, e una volta conclusa l’azione usciranno di scena, allontanandosi. I loro compagni resteranno tra la gente per osservare, ascoltare e raccoglierne le reazioni. 
Boal ha utilizzato e sistematizzato la tecnica a partire dal 1971 in Argentina,  dove, da rifugiato politico, era costretto a fare teatro segretamente.

Cfr. Cfr. A. Boal, Il poliziotto e la maschera; 1993, Molfetta, La Meridiana – Cap. I – Il Teatro dell’Oppresso in Europa – Teatro Invisibile.

Il Flic-dans-la-tête

Augusto Boal arriva in Europa nel 1979. E’ abituato a confrontarsi con oppressioni evidenti, basate sulla violenza e sulla prevaricazione, e subito non riconosce quelle vissute dalle persone che partecipano ai suoi stage: solitudine, impotenza, confusione, malessere interiore. 
Dapprima rifiuta di occuparsene, si domanda dove siano i poliziotti, gli oppressori. Poi prende atto della realtà e riconosce: «anche qui in Europa ci sono oppressioni, ma più nascoste, più sottili; anche qui la gente sta male, al punto che si toglie la vita per questo. Dobbiamo scoprire gli oppressori: sono nella testa».

Da un laboratorio annuale svolto a Parigi nel 1980, con gli animatori del Centre du Theatre de l’Opprimé, nasce dunque un nuovo sistema di tecniche per rispondere a una domanda nuova: come si possono affrontare col Teatro dell’Oppresso le questioni più interiori, in cui «il problema è nella persona, più che nella situazione»? Come si può evitare di cadere in una psicoterapia individuale, e intraprendere una ricerca collettiva di liberazione?
Si esplora così l’interiorità della persona per far emergere e portare in scena, visibili a tutti, gli oppressori interni: i flic – termine gergale che in Francese significa “poliziotto”.  
Gli oppressori sono stati, in passato, persone reali che ognuno ha incontrato e poi interiorizzato sotto forma di ingiunzioni ed immagini di divieto, paura, seduzione, impotenza e così via. 
Rappresentarli permette al protagonista e al gruppo di riconoscerli e affrontarli teatralmente, unendo le risorse nella lotta.

Nel 2004-5 Giolli ha avviato una ricerca per rendere più efficace la ricerca delle cause sociali del malessere individuale e limitare il rischio di usare il Flic come una sorta di psicodramma. Questa ricerca ha portato a elaborare l’idea degli SPIC (elementi Sociali, Politici, Ideologici e Culturali) che vengono individuati a partire dalla storia personale dopo l’uso della tecnica classica proposta da Boal.

“Tutti i grandi temi generali sono iscritti nei piccoli temi personali. Se parliamo di un caso strettamente individuale parliamo anche dell’insieme dei casi simili, e della società in cui questo caso particolare può accadere”
A. Boal, in L’arcobaleno del Desiderio

Cfr. A. Boal, L’arcobaleno del desiderio; 1994, Molfetta, La Meridiana 

Il Teatro Legislativo

Il Teatro dell’Oppresso cerca di incrementare il flusso del desiderio e di dare spazio alla sperimentazione di azioni nel futuro. 
Il Teatro Legislativo va oltre, trasformando il desiderio in legge. Già, perché bisogna fare attenzione al fatto che la legge è sempre espressione del desiderio di qualcuno, In genere dei più potenti. “
A. Boal, in Dal desiderio alla legge

L’esperienza del Teatro Legislativo nasce nel 1993, con l’elezione di Augusto Boal alla carica di vereador (consigliere) nel consiglio comunale di Rio de Janeiro, un municipio di 7 milioni di cittadini. 
Così, per i 4 anni del suo mandato, il teatro diventa strumento di partecipazione politica: come nel Forum si cerca e si provoca l’intervento dello spett-attore in scena per procedere nella ricerca condivisa di alternative, con il Teatro Legislativo il popolo diventa partecipe dell’iter legislativo.
Attraverso il teatro, infatti, si raccolgono i bisogni della gente e si discutono le ipotesi che vengono successivamente vagliate da esperti dell’ambito giuridico e tradotte in proposte di legge. 

Quella di Augusto Boal in Brasile è stata la prima esperienza storica, realizzata grazie al suo ruolo in consiglio comunale.
Da qui si sono sviluppati molti altri esperimenti, anche dove non c’erano rappresentanti del Teatro dell’Oppresso eletti negli organi istituzionali, come in Austria, in Inghilterra, in Portogallo e altrove.
Con il progetto europeo COFA (Community Organizing For All) in corso tra il 2022 e il 2025, di cui Giolli è capofila, si lavora per raccogliere testimonianza delle migliori esperienze mondiali e per produrne un compendio ragionato.



Cfr. A. Boal, Dal desiderio alla legge; 2002, Molfetta, La Meridiana